A una giovane ricercatrice italiana il premio Oreal-Unesco "For women in science" 2013

Emanuela Audisio

 


Un' italiana premiata per la ricerca: questione di ambiente e di Chimica. E' questa la materia che appassiona Marina Faiella fin da bambina. L'ambiente, invece potrebbe guadagnare molto dai suoi lavori sull'energia pulita. E il premio? Il For Women in Science, che, in due casi, è stato trampolino per il Nobel. Piccole Madame Curie crescono. Anche nelle lontane periferie del mondo. Sembrano invisibili le scienziate. Spesso nascoste, vanno trovate, portate alla luce, incoraggiate.

Parigi ha premiato il 28 marzo 2013 le migliori dell'anno con il premio assegnato dall'Unesco e dalla Fondazione L'Oréal. E per la prima volta l'Italia non scompare, ma ha una sua rappresentante. In quindici anni il riconoscimento ha valorizzato l'eccellenza e il talento di oltre 1.700 donne in 108 Paesi: 77 laureate e 225 borsiste. La scienza è un campo difficile, non per assenza di passione e di vocazione, ma perché per le donne manca il sostegno e l'esperienza internazionale. Pochissime sono al vertice nelle università e nel settore privato (solo il 12 per cento) e uno studio del Center for American Progress mostra che le scienziate sposate con figli hanno, rispetto agli uomini sposati con figli, il 35 per cento in meno delle possibilità di ottenere una cattedra universitaria dopo il dottorato. Il premio francese spesso scova in anticipo i futuri Nobel, come è capitato con l'americana Elizabeth Blackburn e l'israeliana Ada Yonath, vincitrici nel 2009, appunto, del Nobel per la medicina e la chimica. Finora l'Italia era stata assente.

La buona notizia è che quest'anno Marina Faiella, tra le borsiste internazionali Under 35, ha vinto il premio (40 mila dollari) per la sua ricerca sull'energia pulita: sulla realizzazione cioè di carburanti da fonti rinnovabili e sostenibili e sulla generazione di energia elettrica senza emissioni di anidride carbonica. Il suo progetto consiste nello studiare una particolare classe di proteine, chiamate idrogenasi, e il loro potenziale nella produzione di idrogeno, che sul nostro Pianeta non si trova in forma pura, ma immagazzinato all'interno di varie sostanze.
Marina ha 28 anni, è nata a Napoli, dove ha lavorato nel laboratorio del professor Vincenzo Pavone, docente di chimica all'Università.

È figlia unica, genitori tutti e due impegnati nella chimica.«Mio padre ora è in pensione, ma a me è sempre piaciuto curiosare tra gli strumenti del laboratorio, già da piccola, e non per questo mi sono sentita una diversa. Ho uno spirito indipendente, e i miei mi hanno sempre incoraggiata».
Ora Marina è in America all'Arizona State University, dove la competizione è alta.«Sveglia alle 7 e fino a notte lavoro. Entro nel laboratorio quando voglio, ho la mia scheda magnetica, a Napoli invece l'aula nei giorni di festa era chiusa e il 24 dicembre dovevo chiedere il permesso per entrare. Giustamente qui bisogna produrre risultati, chi non lo fa viene mandato a casa. Anche il fascino della provetta viene sostenuto, riceviamo gruppi di scolaresche che vengono a trovarci. Nessuno si sogna di dire che è un ambiente poco adatto ai minorenni, tra l'altro nelle high school americane ci sono molti concorsi per cercare talenti. E la mia supervisor, il mio capo, è un'italiana, la professoressa Giovanna Ghirlanda».

Perché come per il premio Nobel Rita Levi Montalcini bisogna ancora andare all'estero per realizzarsi?.«In Italia mancano i fondi e le opportunità.
I cervelli vanno altrove, anche in Gran Bretagna, dove c'è una grande tradizione. L'America ha stanziato 700 milioni di dollari per cinque anni in 50 istituzioni nel dipartimento energia, gestito in ambito nazionale. Ci lavorano duemila ricercatori con 800 supervisor. Io faccio parte dell'Energy Frontier Research Center. Certo che sento il fiato sul collo, ma ci sono abituata. Non è che in Italia i ricercatori dormano, il professor Pavone si svegliava alle quattro di mattina, ma qui c'è un aggiornamento scientifico molto veloce. Le fonti di energia convenzionali stanno progressivamente diminuendo, meglio concentrare gli sforzi nella ricerca e nel capire come sviluppare nuovi biocombustibili, piuttosto che lottare per accaparrarsi le ultime riserve presenti sul Pianeta. Spero che le mie ricerche possano trovare un'utile applicazione in diversi settori, dal trasporto alla comunicazione, al rifornimento di stazioni energetiche per infrastnitture. Qualche decennio fa non avremmo mai pensato all'era iPhone, così oggi sembra impossibile l'idea di ricaricare quello stesso iPhone tramite proteine che producono idrogeno».


Le altre ricercatrici premiate, come Marina, dall'Unesco-L'Oréal sono 14: appartengono a Argentina, Bangladesh Camerun, Colombia, Cuba, Usa, Ghana, Indonesia, Israele, Libano, Mongolia, Marocco, Nigeria e Sudan. Pur non essendo un riconoscimento al femminismo - è la qualità della ricerca che conta - tutte le premiate si esprimono nella stessa maniera.«Quando vado ai convegni mi chiedono a chi ho lasciato i figli, ad uno scienziato la domanda non si fa». «E importante essere sostenute, significa poter dire: se ce l'ho fatta io, ce la potete fare anche voi». «Non si tratta di integrare le donne, ma di pensare che la scienza ne trarrà beneficio». «Dove vivo io, in Ghana, passo per una che perde tempo a scuola invece di stare con i figli». «Studiare le scienze anche per le bambine dovrebbe essere un diritto civile».
«Non c'è sviluppo se non si lotta per il contribuito delle donne alla scienza». «Ad alto livello la nostra professione ruba tempo alla famiglia, è un equilibrio difficile, ci vuole un buon marito per sopravvivere».

Marina Faiella dice che vivere sola non le pesa. «Prima di andare in America sono stata un anno e mezzo in Olanda, all'Università di Tecnologia di Delft. A Napoli dal laboratorio vedevo il Vesuvio e da casa il mare, qui vedo la piscina del condominio e il cielo, ma va bene così. E poi ho un fidanzato anche lui ricercatore che mi segue. Quello che forse manca un po' a noi donne è l'autostima, la certezza di dire: posso superare ogni ostacolo. Anche perché guardi al futuro e ti chiedi: potrò ancora a 40 anni cambiare continente ogni anno, fare la ragazza con la valigia? Avrò mai la possibilità di creare un gruppo mio o dovrò cercare un lavoro presso un gruppo industriale? La situazione italiana mi preoccupa, lavoro in laboratorio, ma non vivo su Marte. E vi prego non descriveteci come donne astruse, chine sui loro strumenti in laboratorio. Basta stereotipi. Io gioco a tennis e canto come soprano nel coro dell'università».

Su questo ci siamo. Lo diceva anche Marie Curie: «Nella vita non c'è niente da temere, solo da capire».

L'IDEA E' PRODURRE IDROGENO COPIANDO I BATTERI


Il progetto vincente di Marina Faiella è di quelli che davvero potrebbero cambiare il mondo: punta infatti a copiare da certi organismi viventi la capacità di produrre idrogeno dall'acqua, ottenendo così un combustibile pulito, con cui alimentare mezzi di trasporto e dispositivi elettronici.

Oggi otteniamo l'idrogeno dal metano o scindendo l'acqua con l'elettricità, usando catalizzatori a base di platino, quindi costosi, e sprecando molta energia, spesso non rinnovabile. Ma in natura ci sono batteri che per vivere fanno reagire ferro o zolfo con l'ossigeno dell'acqua, producendo, come scarto, idrogeno. Per ottenere questo idrogeno gassoso usano, invece del platino, enzimi detti «idrogenasi», molto efficienti: pochi etti di quello del batterio Desulfovibrio desulfuricans (sopra) potrebbero, per esempio, «fare il pieno» di idrogeno a un razzo in un paio d'ore.

Il progetto che Faiella porterà avanti all'Università dell'Arizona punta a riprodurre in laboratorio queste molecole-miracolo, studiandone prima la complessa struttura, individuandone la parte attiva e infine producendola a partire da sostanze più semplici. Se il progetto avrà successo potremo ottenere idrogeno da acqua ed energie rinnovabili, come la luce solare, in modo efficiente e senza ricorrere al platino, dando una spinta a quella hydrogen economy che, per ora, è rimasta sulla carta.

 


5-4-2013